Il futuro Presidente del Consiglio Mario Draghi svolse un ruolo decisivo, per le cariche che ricoprì, nelle vicende economiche dell’Italia sin dagli anni ’80.
E’ quindi indubbio che è in parte responsabile, a prescindere dalle recenti vicende legate al Covid, della situazione di un paese che è in un lento, ma inesorabile, declino che il nuovo Governo sarà chiamato ad affrontare con forza.
I risultati dipenderanno perciò dalle scelte che farà a breve, tutt’altro che scontate perché durante la sua carriera egli stesso si adattò alle circostanze, prendendo provvedimenti non sempre coerenti tra loro. Piace ai media nostrani definire tutto ciò come pragmatismo.
Draghi si laureò si laureò alla Sapienza nel 1970 con una tesi in cui sostenne che non esistevano le condizioni per una moneta unica europea.
Egli cominciò ad avere ruoli nella finanza internazionale già nel 1984, come Direttore Esecutivo della Banca mondiale.
Fu Direttore Generale del Ministero del Tesoro dal 1991 al 2001: incarico decisivo di quegli anni – tanto che sopravvisse ai molteplici Governi che si succedettero – in quanto responsabile della “controversa” stagione delle privatizzazioni delle società controllate o partecipate dallo Stato; un percorso che fu tracciato e deciso nella famosa riunione del 1992 sul panfilo Britannia alla quale partecipò.
Proprio in quegli anni vennero sottoscritti numerosi derivati da parte del Tesoro, con l’obiettivo di far quadrare i conti dello Stato per l’ingresso nell’Eurozona. Ma così non fu, perché diedero luogo a grandissime perdite economiche.
Per far fronte all’indebitamento dello Stato, che allora non appariva certo così drammatico come ora, si decise la vendita – o sarebbe meglio dire la svendita – e lo smembramento di importanti imprese italiane, costruite grazie ai sacrifici di un paio di generazioni di italiani.
Fu premiato poi dal 2002 al 2005 con un ruolo nel comitato esecutivo di Goldman Sachs, una delle banche “d’affari” americane che più avevano lucrato sulla stagione delle privatizzazioni. Già Cossiga ebbe a sottolineare l’incompatibilità dei ruoli, ma questa è da sempre una prassi consolidata: con il sistema delle porte girevoli si ricoprono ruoli istituzionali passando poi con nonchalance in banche private e viceversa. Questi conflitti d’interesse, molto ben remunerati, sono talmente usuali da passare ormai inosservati.
Nel 2005 divenne Governatore della Banca d’Italia e diresse il periodo delle fusioni ed incorporazioni delle banche private italiane, autorizzando in particolare l’acquisizione di Antonveneta da parte di Monte paschi, un’operazione che distrusse definitivamente la banca toscana (già in bilico da decenni per la gestione sconsiderata da parte del fu PCI) e che costò successivamente ai contribuenti italiani almeno una decina di miliardi di euro.
Fu poi Presidente del Financial Stability Board dal 2006 al 2011, nel bel mezzo della crisi bancaria internazionale, periodo durante il quale le motivazioni profonde della crisi finanziaria del 2008 non furono mai veramente affrontate con decisione.
Nel 2011 divenne Governatore della Banca Centrale Europea in un momento nel quale veniva a galla con prepotenza il problema del debito pubblico nei paesi mediterranei: la Grecia ne uscì distrutta (decisero di non accettare i “sirtaki bond” e bloccarono la liquidità per gli istituti di credito) e nel nostro paese si arrivò, tramite pressioni politico-finanziarie, quali la minaccia di non acquistare i titoli di Stato italiani, alla caduta del Governo Berlusconi per far posto a Monti.
All’epoca il debito pubblico si aggirava sui 1.850 miliardi di euro e le tensioni interne ed internazionali portarono gli interessi su questo debito pubblico a livelli insostenibili: una volta sostituito Berlusconi, il Governo Monti ebbe l’appoggio di Draghi che con la BCE acquistò direttamente il debito pubblico italiano, facendo calare i tassi non ostante il debito aumentasse senza soste.
In questi ultimi trent’anni è stato protagonista, non certo unico responsabile, di una crisi finanziaria ineluttabile.
Poiché qualsiasi decisione economica è per sua stessa natura politica, egli approda ora in modo logico ad un ruolo politico istituzionale, ben conoscendo per altro i gangli entro i quali opera il sistema.
Il prestigioso curriculum di cui sopra non è quindi lusinghiero e non promette bene per l’Italia, in quanto il nodo dei prossimi mesi non sarà solamente il modo in cui verranno spesi i denari provenienti dall’Europa (la distribuzione dei quali alletta quasi tutti i partiti italiani, ragione per cui Draghi otterrà sicuramente un consenso esteso in Parlamento), ma in senso più ampio la gestione di un debito pubblico che è ora a 2.600 miliardi circa, in un contesto congiunturale che anche a causa della pandemia s’è decisamente aggravato. I soldi europei, stampati dal nulla dalla BCE, sono semplicemente ulteriore debito.
Chi sostiene che il livello del debito non ha alcuna importanza o è uno stupido ed ignora la storia, oppure è complice di un sistema finanziario marcio dalle fondamenta.
Riuscirà la classe media italiana, cotta a fuoco lento da almeno trent’anni da politici irresponsabili ed incompetenti e da tecnici richiamati costantemente a prendere decisioni politiche nei momenti più drammatici, a superare l’ennesima prova?
L’intelligenza di Draghi non si discute – soprattutto rispetto alle miserie recenti – ma potrebbe essere la causa di un’accelerazione decisa verso meccanismi di futura ed ulteriore instabilità i cui esiti appaiono del tutto incerti.
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